Come è noto, in data 16 marzo 2019 è entrato in vigore l’art. 378 del D.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), che ha aggiunto all’’art. 2486 c.c. (rubricato “Responsabilità degli amministratori”) un nuovo terzo comma, ai sensi del quale: «Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.

La novella, quindi, ha introdotto una presunzione relativa di quantificazione del danno, ponendo a carico del convenuto l’onere di provare che il danno generato dal suo comportamento sia inferiore a quello risultante dall’applicazione del criterio legale.

Trattasi quindi di presunzione semplice e, come tale, suscettibile di prova contraria.

Come noto, il criterio dei netti patrimoniali, pur in assenza di un’espressa previsione normativa, era già largamente utilizzato nella prassi e la stessa giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che “In ipotesi di azione ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore, ed ai fini della liquidazione del danno cagionato da quest’ultimo per aver proseguito l’attività ricorrendo abusivamente al credito pur in presenza di una causa di scioglimento della società, così violando l’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., il giudice può avvalersi in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, del criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, a condizione che tale utilizzo sia congruente con le circostanze del caso concreto e che, quindi, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato ed abbia specificato le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla sua condotta” (Cass. 20 aprile 2017, n. 9983).

Il legislatore ha dunque innovato il dettato normativo recependo un criterio accolto, seppure con le limitazioni bene evidenziate nella sentenza citata, dagli interpreti.

È opportuno notare, tuttavia, che la “bozza Rordorf” prevedeva che il danno risarcibile in caso di prosecuzione dell’attività, pur in presenza di una causa di scioglimento, fosse solo quello provocato dai singoli atti compiuti in violazione del dovere di gestione conservativa; il ricorso al criterio dei “netti patrimoniali” – come stabilito anche dalla sentenza citata – avrebbe dovuto costituire un’ipotesi residuale, applicabile solo in caso di scritture sociali mancanti o tenute irregolarmente.

Con la versione definitiva del decreto, invece, il criterio dei netti patrimoniali assurge al rango di criterio principe per la quantificazione del danno derivante da atti di mala gestio.

L’art. 378, secondo comma, Codice della crisi, inoltre, ha integrato ulteriormente l’art. 2486 c.c. stabilendo che “Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.

In quest’ultima ipotesi, il legislatore ha invece introdotto una presunzione iuris et de iure, escludendo, nel caso in cui i netti patrimoniali non possano essere determinati, la possibilità di provare che il danno derivante dalla condotta degli amministratori sia inferiore alla differenza tra attività e passività.

Il criterio della differenza tra attività e passività – originariamente non contemplato dalla “bozza Rordorf” – diventa così il criterio residuale di quantificazione del danno, laddove non sia applicabile, come si è detto, il criterio dei netti patrimoniali. Vi è da notare, peraltro, come il ricorso automatico al predetto criterio in mancanza delle scritture contabili sia stato più volte ritenuto inutilizzabile da parte della giurisprudenza di legittimità, che ne ha ammessa l’applicabilità solo quale parametro per una liquidazione del danno in via equitativa e solo in presenza di determinati presupposti (Cass. 30 ottobre 2018, n. 24103).

La Relazione illustrativa, a tale ultimo proposito, chiarisce che “La norma si fa carico di risolvere, anche in funzione deflattiva, il contrasto giurisprudenziale esistente in materia e l’obiettiva difficoltà di quantificare il danno in tutti i casi, nella pratica molto frequenti, in cui mancano le scritture contabili o le stesse sono state tenute in modo irregolare”. Di conseguenza, a prescindere dalle intenzioni del Legislatore, d’ora in avanti agli organi societari è richiesto di far emergere tempestivamente la crisi o di accertare tempestivamente una delle cause di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., per non trovarsi esposti al risarcimento di importi il cui ammontare viene determinato in via presuntiva.

I primi commentatori si sono posti il problema dell’applicabilità delle nuove disposizioni dell’art. 2486 c.c. ai processi in corso alla data del 16 marzo 2019 (data di entrata in vigore dell’art. 378 CCI). I commentatori che valorizzano la natura processuale della norma in parola – ponendo quindi l’enfasi sulla distribuzione dell’onere della prova – ritengono che valga il principio del tempus regit actum, con conseguente applicazione immediata della novella anche ai processi in corso.

Altri commentatori propendono, invece, per la natura prevalentemente sostanziale della norma in commento, con conseguente inapplicabilità ai giudizi in corso del novellato art. 2486 c.c. in virtù di quanto previsto dall’art. 11 delle Preleggi (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”).

In attesa che la giurisprudenza si pronunci sulla questione in esame, un utile spunto di riflessione può rinvenirsi nella sentenza n. 3231/1987 della Corte di Cassazione.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha affrontato il problema relativo all’applicabilità, ai giudizi in corso, del novellato primo comma dell’art. 1784 c.c.. La Legge 15 febbraio 1977 n. 35 aveva infatti modificato il limite massimo della responsabilità dell’albergatore per la sottrazione, la perdita e il deterioramento delle cose portate dai clienti in albergo, portando tale limite, prima fissato in lire 200.000,00, a cento volte il prezzo dell’alloggio giornaliero in albergo. In tale circostanza la Suprema Corte ha stabilito che “la legge nuova non ha regolato il fatto o l’atto generatore del rapporto, ma soltanto un effetto di esso non ancora esaurito (ammontare del risarcimento del danno)”. Ne consegue che “la legge sopravvenuta deve essere comunque applicata quando il rapporto giuridico disciplinato, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i suoi effetti e purché la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto o l’atto generatore del rapporto ma gli effetti di esso”.

A prescindere dalla natura sostanziale o processuale della nuova norma, quindi, quest’ultima appare applicabile anche ai rapporti giuridici sorti anteriormente, qualora gli stessi non abbiano esaurito i loro effetti e purché la legge non incida sul fatto costitutivo del rapporto (i.e. il mancato adempimento degli obblighi gestori e di controllo), ma sugli effetti di esso (la definizione del quantum risarcitorio). In quest’ottica, quindi, i doveri sarebbero immutati e cambierebbero solo gli effetti della loro violazione.

Avv. Maurizio Orlando e Dott. Francesco Ferrari – Lexat Tax & Legal Advisory